La passione di Miranda
Dice Emmanuel Lévinas che "solo l'assolutamente estraneo può istruirci". Questa frase è contenuta nel libro di Franco La Cecla, "Il Malinteso", trovato quasi per caso in una libreria di provincia. La sua antropologia un po' ci ricorda il perché di Destinazioni, ambiamo ad essere etnografi dell'economia, antropologi dei “processi che fanno succedere le aziende” ma anche degli ecosistemi che le ospitano. E se siamo sempre più convinti che "falliremo mangiando bene", è perché non abbiamo capito a livello di paese, ma anche di singola azienda, che il prodotto non basta proprio più.
L'ha capito anche Gianni D'Amato, uno che a Reggiolo ci ha lasciato due stelle Michelin, ma anche un ristorante sotto il terremoto. Forse un promesso Bottura, se solo le cose fossero andate diversamente. Raggiungere il suo nuovo ristorante è un'impresa, quasi come scalfire l'enorme timidezza della moglie, gente emiliana che trasferita in quella Liguria che profuma di Toscana beh, deve ancora ambientarsi. Il prezzo è giusto, il ristorante classico, la proposta gastronomica indovinata. Una bella cantina, il sapore di chi le cose sa farle bene. Ma l'intervista non voluta e non cercata all’amabile signora svela la dura realtà. La passione della locanda Miranda somiglia alla passione di Cristo, non quella degli amanti di qualcosa o qualcuno. D'Amato e consorte sfidano le correnti davvero gravitazionali che portano una macchina più larga di una panda a faticare a salire in paese, ma soprattutto a parcheggiare nella (giusta o no) ZTL. Per dirla in parole spicce, un luogo inaccessibile. Intendiamoci, questo è un posto che in centro a Milano con gli Instagrammer dalla propria mette due settimane di attesa e vale 120 euro a cranio. Che in centro a Lerici ne vale forse 80, ma intercetta il turista e il residente. Ma è anche un posto che non ha capito che il notaio milanese a Lerici cucina a casa sua, o forse vuole andare "Da Ugo" (pazzesca trattoria Genovese) e non "Da Vittorio".
È un peccato, perché qui c'è codice sorgente, qui c'è maestria, c'è ricerca, c'è storia, c'è Italia. C’é prodotto. Ma mancano gli ‘intangibili’, quegli asset fondamentali della famosa ‘smiling curve’ che il nostro esercito di artigiani non vede. Questo mal di testa ha una sola cura, il design dei flussi. Quella (mancata) cura del delivery che ha portato Eataly a far male in Italia (e curiosamente in Giappone). Retail è prodotto, speriamo che anche i D'Amato's lo capiscano, per non sprecare quello che è sostanzialmente un patrimonio dell'umanità